La difficoltà di disfarsi della propria verginità fra le colline del Chianti. Tutti i difetti, senza le qualità, di un cineasta ormai più attento alla moda che all'aria dei tempi.Per la semplificazione delle psicologie, che rende ardua una qualsiasi identificazione; ma, più ancora, per la riduttività della sceneggiatura, il cinema di Bertolucci (anche questo ci avevano fatto dimenticare le sue avventure orientali) è sempre stato di referenza, letterario e, ancora, melodrammatico: uno spettacolo che - come quello operistico - andava visto da una platea distante. Che ci permettesse di gustare i rinvii del mito: ma d'ignorare la ciccia del cantante. Un cinema dell'immaginazione poetica, che può permettersi anche d'ignorare la mancanza di logica della costruzione drammatica.Ora Bertolucci è ritornato in quella che molti di noi avevano auspicato: la propria dimensione domestica, se non proprio padana, perlomeno toscana, visto che è andato a girare fra le vigne dei poderi Broglio. Ma quanto si diceva sopra, non è che sia molto mutato. Anzi, trattandosi di fatti contemporanei (dell'urgenza dei quali è lecito però dubitare: la difficoltà di una oltretutto bellissima americana nel disfarsi della propria verginità...) finisce che la faccenda balza ancor più all'occhio.
Bertolucci ha riuscito qualche grande film: come il suo più autentico, il primo STRATEGIA DEL RAGNO. Come il suo più ispirato, NOVECENTO; il suo più perfetto, IL CONFORMISTA, o il solo suo misterioso e sorprendente, ULTIMO TANGO A PARIGI. Ma non è mai stato, appunto, un cineasta dell'urgenza, uno di quegli artisti, come molti dei suoi colleghi, che per tutta una vita si portano appresso la voglia, la difficoltà di esprimere qualcosa. È stato piuttosto qualcuno di assai dotato espressivamente, pronto a captare con sensibilità la fascinazione di una cultura cinematografica, come quella dell'aria del suo tempo.
Ed è proprio questo aspetto della sua personalità che sembra sopravvivere in IO BALLO DA SOLA: quello di un cinema alla moda, anzi di un cinema sulla moda. Con i ragazzi tutti bellini, i riccioli e l'abbronzatura ad hoc. Nei vezzi espressivi: la scritte colorate in corsivo che s'iscrivono sullo schermo, mentre lei annota sul suo diario. Qualche momento azzeccato: la leccatina allo specchio, iniziazione ad un rito giustamente in debito con il narcisismo dell'autore. Ma, subito, ancora archetipi moda: come quell'impossibile Jean Marais nei panni del Grande Artista, che strascica la erre e dice merda e troia a tavola, cosa notoriamente in uso fra intellettuali. Antonella Lualdi, in calore for ever, che stride: "ma cosa ci faccio in mezzo ai ragazzini?" Ce lo chiedevamo pure noi.
Il caporale è ovviamente ottuso, le bimbe inevitabilmente maliziose, la musica soft (e, come no regolarmente culturalmente rimasticata: Stevie Wonder, e il Concerto di clarinetto di Mozart), il paesaggio toscano come nella pubblicità dell'olio d'oliva, i colori ambrati come in quella del cognac. Ed i veri maschi? Staccano la punta del sigaro con un morso, e possibilmente hanno un buon accento inglese. I titoli di coda? Dall'elicottero, sopra la piazza d Siena. Jean Marais: "l'Amore non esiste; esistono solo prove d'amore". Mah...